L’Inghilterra, in quanto paese ospitante, per partecipare alla fase finale del campionato del mondo 1966 non deve affrontare partite di qualificazione.
Finalmente infatti gli inglesi, da sempre autoproclamatisi inventori e maestri del football, ottengono l’organizzazione dei mondiali, dopo che, nelle prime edizioni, si erano sdegnosamente rifiutati di partecipare a una manifestazione sportiva cui probabilmente non riconoscevano grande importanza.
La formula
La prima fase si articola su quattro gironi all’italiana (con partite di sola andata).
Approdano ai quarti di finale le prime due classificate; in caso di due paesi con lo stesso numero di punti, il passaggio del turno viene determinato dalla differenza reti. A partire dei quarti, eliminazione diretta. In caso di pareggio al minuto 90, è prevista la disputa in due tempi supplementari.
Il racconto del mondiale
Non ha fine la caduta verticale del nostro calcio. Assente in Svezia nel 58, eliminato in Cile quattro anni più tardi dall’ambiente ostile (e dall’arbitro), in Inghilterra va fuori subito e senza poter accampare scusanti.
Il crollo e di quelli che lasciano il segno: a Middlesbrough ci fa fuori la sconosciuta Corea del Nord pochi giorni prima definita da Valcareggi (inviato a osservare gli asiatici) una “banda di ridolini”.
Un rovescio storico (perlomeno pari a quello subito dagli inglesi contro gli Stati Uniti nel 50) ovviamente non privo di risvolti sulla conduzione della nazionale: esonerato, anzi squalificato, il ct Edmondo Fabbri (e come avrebbe potuto essere diversamente per una comitiva fatta rientrare furtivamente nella notte e, malgrado il segreto, accolta a Genova da un nutrito lancio di pomodori?).
Nonostante la figuraccia italiana, in Inghilterra il calcio europeo (grazie anche alla categoria arbitrale) non fa sconti a nessuno. Esce subito, clamorosamente, il due volte campione del mondo Brasile: ancora senza Pelé (malmenato nel primo match dei difensori bulgari), battuto da un Ungheria tornata grandissima al termine di una partita stupenda, capace di riconciliarla con il calcio.
Alle semifinali arrivano l’Unione Sovietica di Jascin, il Portogallo di Eusebio, i padroni di casa di Bobby Charlton e la Germania Ovest che ha messo in vetrina un elegantissimo mediano, il ventenne Beckenbauer subito ribattezzato “Kaiser Franz”. Sulla strada della finale tedeschi e inglesi si scambiano favori: nei quarti, ad esempio, un arbitro tedesco (Kreitlein) agevola il successo dei padroni di casa con l’espulsione al minuto 35 dell’argentino Rattin e convalidando un goal messo a segno in evidente fuorigioco. Ancor peggio si comporta il locale Finney, designato per l’incontro tra Germania e Uruguay: non vede una respinta di pugno di Schnellinger sulla linea di porta dopo appena tre minuti e la celeste perde le staffe tanto da chiudere in nove travolta da Haller & soci.
La finale si conclude con i supplementari dopo il 2-2 al minuto 90, ed ecco qui un nuovo colpo di scena: vince l’Inghilterra, con indosso una sgargiante maglia rossa, per 4-2. Il goal del vantaggio ha tuttavia fatto discutere per anni: una gran legnata di Hurst rimbalza atterra dopo aver picchiato sotto la traversa, ma al di qua o al di là della linea di porta? La decisione la prende il giudice di linea sovietico Bakramhov (la Germania, non senza polemiche, aveva eliminato proprio l’Unione Sovietica) indicando all’arbitro Dienst il centro del campo. Molti anni più tardi, analizzato fotogramma per fotogramma, una televisione tedesca dimostrerà che proprio non era goal.
Il caso
Sono 70 le federazioni che aderiscono all’edizione della Coppa Rimet del 66. È dunque necessaria, come ormai dal ’34, una fase eliminatoria.
Il continente africano, presente con 17 Paesi si sente sottovalutato. C’è del vero, in quanto, al termine di una lunga serie di partite, la nazionale africana riuscita a emergere sarà costretta ad affrontare le vincenti dei raggruppamenti asiatico e oceanico. Il continente esige un posto sicuro per la fase finale, ma la FIFA non cede: si registra così il forfait compatto dell’intero lotto dei paesi africani.
Il Numero
Il numero è 13, sono infatti 13 le partite utili consecutive del Brasile sul palcoscenico della fase finale del mondiale.
La lunga striscia positiva, è legata all’Ungheria. L’ultimo KO dei brasiliani di Julinho è del 27 giugno 1954 contro Boksic e compagni (2-4 passato alla storia per le sue scorrettezze e per l’incredibile pestaggio finale); poi, dopo 10 vittorie e due pareggi, con i titoli mondiali del 58 del 62, sono ancora i magiari a mettere fine al lungo momento di grazia: il nuovo KO si registrò il 15 luglio 1966, 3-1 per l’Ungheria.
Il Brasile è ormai una squadra piuttosto vecchia alla quale, per l’ennesimo infortunio, quel giorno manca anche Pelé.
I protagonisti
Robert Charlton (Inghilterra)
Attaccante moderno e implacabile realizzatore, possiede anche una straordinaria visione di gioco che gli consente di impostare e suggerire per i compagni di squadra.
Insieme a libero Moore, è l’uomo di maggior spicco dell’Inghilterra campione del mondo 1966, anno in cui gli viene conferito il Pallone d’Oro. Bobby Charlton il 6 febbraio 1958 era scampato alla tragedia aerea di Monaco di Baviera, in cui il Manchester United, al rientro in patria dopo una trasferta a Belgrado di Coppa dei Campioni, aveva perso nove dei protagonisti.
Lev Jascin (Unione Sovietica)
Ribattezzato “ragno nero” per il look sempre e soltanto nero. Gran senso del piazzamento, stile sobrio, grandioso fra i pali e nelle uscite. Dotato di un fisico possente e scattante, sa anche dare spazio a scenette che riscuotono il divertito apprezzamento dagli spalti.
Anti rigorista per eccellenza, un grande in tutti i sensi. Vince la medaglia d’oro olimpica nel 1956 il titolo europeo nel 1960. Nel 63 gli viene conferito il pallone d’oro, unico portiere salito tanto in alto.
Eusébio (Portogallo)
La “nerissima” risposta europea a sua maestà Pelé. Lusitano del Mozambico, in forza Benfica. Bruciante nello scatto, felino nei movimenti, agilissimo, si guadagna presto l’appellativo di “pantera nera“: segna grappoli di goal e tutti di pregevole fattura.
Ricava maggiori soddisfazioni con la sua squadra di club, i suoi centri guidano comunque il Portogallo al terzo posto del mondiale inglese del 1966 dove va bersaglio nove volte (quattro contro la Corea del Nord che ci ha appena eliminati) ottenendo la palma di miglior cannoniere.